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Ottobre 2008

Un Mondo in Crisi

Quale Futuro Per L'Italia?

Il Berlusconi IV è stato eletto con una maggioranza ampia: la ‘sinistra radicale’ è stata cacciata dal Parlamento e la classe dirigente auspica cinque anni di stabilità politica e sociale. Verrà sicuramente delusa. Nonostante la sua maggioranza netta, questo governo diventerà un governo di crisi. L'Italia sta già attraversando una recessione economica, anche prima che le ricadute della tempesta finanziaria colpiscano proprio il Paese. La vita quotidiana della classe lavoratrice ed alcune fasce della classe media sta diventando sempre più insopportabile. I salari dei lavoratori italiani sono fra i più bassi d'Europa mentre i prezzi schizzano alle stelle. Di conseguenza, 1 famiglia su 3 non ce la fa ad arrivare a fine mese e il 50% campa con meno di €1.900. Allo stesso tempo, secondo un'indagine di Bankitalia, la disuguaglianza è cresciuta a tal punto che il 10% dei ricchi possiede il 45% di tutte le ricchezze nazionali. Non c'è da sorprendersi quindi che gli italiani sono fra i più pessimisti del mondo: 2 su 3 sono pessimisti sul futuro del Paese e il 40% sul proprio destino.

Secondo i sondaggi, le priorità per gli italiani sono i prezzi alti, il lavoro, i salari e la sicurezza. Il governo Berlusconi, comunque, sarà completamente incapace di risolvere questi problemi. Anzi, la crisi economica sta spingendo la classe dirigente a guerreggiare con la classe lavoratrice e ad attaccare i salari, le condizioni lavorative, i servizi pubblici e tutti i diritti politici e sociali. Questa offensiva feroce innescherà sicuramente nuovi conflitti industriali e sociali che potrebbero addirittura spazzare via Berlusconi come accaduto nel 1994. Poche settimane dopo le elezioni, Berlusconi ha dovuto affrontare il duro scontro a Chiaiano in Campania. Questa lotta risoluta della comunità contro l'apertura di una discarica nel suo territorio ci ha fornito un barlume dei maggiori conflitti ad avvenire. Il pugno di ferro che queste proteste hanno provocato, dimostra palesemente come reagirà il governo davanti alla resistenza alla sua politica.

La luna di miele di questo governo sarà breve. Basta dare una occhiata alle vicende in Francia per capire in che modo la situazione può rapidamente trasformarsi. Come Berlusconi, Sarkozy fu eletto in quanto uomo ‘forte’, capace di contrastare un Paese in crisi. Dopo un anno la sua popolarità nei sondaggi era dimezzata, crollando dal 65% al 38%. Centinaia di migliaia di lavoratori hanno scioperato e sono scesi in piazza per protestare contro la riforma delle pensioni, i tagli ai servizi pubblici e la privatizzazione.

Gli attacchi di Berlusconi stanno già provocando la rabbia dei lavoratori, soprattutto nella pubblica amministrazione. Saranno i movimenti del prossimo periodo che forniranno la possibilità di costruire una vera opposizione alla politica del governo ed al sistema capitalista che è palesemente in fallimento.

La crisi mondiale

Secondo un rapporto delle Nazioni unite, le 50 persone più ricche del mondo guadagnano più di 416 milioni di poveri. Nel giro di vent'anni, i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sono rimasti poveri. La quota della ricchezza destinata ai profitti è la più grande degli ultimi 45 anni.

In questo quadro di disuguaglianza e ingiustizia è scoppiato lo tsunami finanziario che ha scosso l’intera sistema e rappresenta uno spartiacque per quello che riguarda l'economia mondiale. È la più grave crisi dal 1929 e il dolore economico è solo all'inizio. Non è possibile predire con certezza la profondità della crisi che si svilupperà nell’economica ‘reale’, né per quanto tempo durerà, ma ci sono esperti economici che la prevedono peggiore di quella del 1974-75.

Una crisi di questa intensità non solo graverebbe sulla vita quotidiana della gente comune ma avrebbe anche delle conseguenze politiche enormi. Fu nel tempo della recessione mondiale del 1974-75, ricordiamo, che abbiamo assistito alla caduta delle dittature in Spagna e in Grecia, alla rivoluzione portoghese, nonché ai movimenti rivoluzionari nei paesi neo-coloniali. Oggi, i movimenti e gli scioperi che sono esploso contro l'innalzamento spietato dei prezzi alimentari si sono stesi come un fuoco furioso attraverso il globo. Anche un periodo prolungato di crescita esigua al livello internazionale, similare a quello che è successo in Giappone negli anni 90, avrebbe dei risvolti politici e sociali importanti.

La crisi finanziaria attuale ha spaccato il cosiddetto ‘accordo sulla globalizzazione’ e ha seriamente danneggiato l'ideologia del predominio del ‘libero mercato’. La crisi economica, l'insicurezza, la disuguaglianza, la povertà e gli scontri fra i Paesi capitalisti che questa provocherà, condurrà a una contestazione non solo degli effetti del mercato e della globalizzazione ma dell'intero sistema capitalista.

‘L’uomo ammalato’ dell’Europa

Benché le banche italiane siano meno esposte alla crisi finanziaria attuale, è assodato che l'Italia sarà gravemente colpita da una crisi economica mondiale. Il giornale americano, il Wall St Journal, ha recentemente scritto che se l'Italia fosse un’impresa sarebbe già fallita! La crescita prevista per quest'anno quasi non dovrebbe supererare lo 0%. Nella lista dei paesi più competitivi l'Italia è solo al 46° posto: la sua produttività è addirittura al di sotto di quella del Messico. Negli ultimi 10 anni il Pil è cresciuto del 1,5 % in media, in fanalino di coda dei 30 paesi più industrializzati.

La crisi dell'economia italiana non è solo una crisi congiunturale ma anche una crisi strutturale. Il 95% delle imprese italiane hanno meno di 10 dipendenti. Invece di investire nella produzione, tanti capitalisti italiani hanno preferito massimizzarsi i profitti, basandosi sullo sfruttamento dei lavoratori e su una manodopera a basso costo e sempre più precaria. L'Italia è all'ultimo posto nella classifica dei paesi europei per quello che riguarda l'investimento, la formazione continua dei dipendenti e la ricerca. Secondo Il Sole 24 Ore, la Finlandia, con una popolazione uguale all’hinterland milanese, investe nella ricerca quattro volte più dell'Italia. Eppure Berlusconi vuole tagliare con l'accetta l’attuale cifra esigua di investimento.

Dal 2003 al 2006 la produttività in Italia è cresciuta del 16.7%. Ma di questa crescita solo il 13% è andato ai lavoratori mentre l'87% è andato ai capitalisti. Nel giro di sei anni il reddito per abitante in Italia è sceso a più del 13% di sotto della media europea. I capitalisti italiani affrontano un dilemma: pagano salari da fame per aumentare i profitti ma così tagliano il mercato domestico.

Allo stesso tempo, i capitalisti esportatori, soprattutto coloro dell'industria tessile, hanno dovuto affrontare la minaccia della concorrenza delle esportazioni asiatiche. È vero che le esportazioni sono migliorate recentemente, aiutate dalla delocalizzazione e dalla produzione dei beni di lusso che hanno trovato una nicchia importante nel mercato mondiale. Ma l'andamento a lungo termine è pessimo: dal 1996 la quota italiana del mercato mondiale è scesa del 38% e verrà sempre più scalzata dalla crisi economica mondiale.

In passato, i capitalisti italiani avrebbero cercato di trovare una via d'uscita temporanea da una crisi di produttività mediante una svalutazione della lira per rendere più concorrenziali le loro esportazioni, ma l’adozione dell'euro ha bloccato tale scappatoia.

Una politica di ‘contro-riforme’

In questo pessimo quadro economico il padronato sta cercando di scaricare sui lavoratori lo sconto della crisi.

Spronato dai grandi capitalisti, il governo Berlusconi sta sferrando una offensiva feroce contro la classe lavoratrice e qualche fascia della classe media. I grandi capitalisti sono rimasti molto delusi dal precedente governo Berlusconi che, a loro avviso, a dato precedenza agli interessi del presidente del Consiglio stesso, a scapito delle esigenze più ampie della loro classe. Di conseguenza, alle elezioni del 2006 si sono schierati con Prodi, auspicando che la sua alleanza fosse più affidabile.

Dopo il collasso del governo Prodi la Confindustria, difidandosi del populismo di Berlusconi e temendo il conflitto sociale, ha scommesso su un governo di grande intesa per rappresentare i propri interessi. Adesso, secondo Confindustria, vista la maggioranza ampia del governo e il tracollo della sinistra ‘radicale’, Berlusconi non ha alibi: deve mettersi senza indugi a portare a termine una politica di riforme urgenti a favore del grande padronato.

Le vicende della legge ‘salva-premier’ testimonia che Berlusconi non ha smesso di curare i propri interessi. Ma contemporaneamente ha lanciato una politica neo-liberista che risponde perfettamente alle esigenze della Confindustria. Come ha dichiarato Berlusconi a seguito della relazione di esordio del nuovo presidente della Confindustria, Emma Marcegalia: “ Il vostro programma è il nostro".

Per cercare di addolcire la pasticca amara, Berlusconi ha gettato qualche briciola populista come l'abolizione dell’Ici sulla prima casa e la ‘Robin Hood Tax’ ma la ‘superfinanziaria’ punta a ridurre drasticamente la spesa pubblica e fare scattare ulteriori privatizzazioni dei servizi pubblici locali assieme a Fincantieri e le Poste. La guerra contro i ‘fannulloni’ nell'amministrazione pubblica mira a mascherare un assalto più generale contro la spesa e lo smantellamento dei servizi. Il governo sta preparando una strage nella scuola che distruggerà il 20% della forza di lavoro. Al contempo, sta per lanciare un'ulteriore assalto contro le pensioni nonché rafforzare la precarizzazione del lavoro.

A capo lista degli attachi voluti da Confindustria è l'indebolimento del contratto nazionale, per frenare i salari e per scalzare l'unità della classe lavoratrice e la sua capacità di contrastare l'offensiva del governo e del padronato. Ciò è strettamente legato alla detassazione degli straordinari che porterà ad un allungamento degli orari di lavoro e dei turni massacranti ed addirittura ad un aumento delle morte bianche. L'effetto sulla busta paga sarà limitata: sono esclusi i dipendenti pubblici e gran parte delle donne che, grazie al proprio ‘doppio lavoro’, non sono in grado di fare gli straordinari. Perlopiù, è chiaro che i padroni faranno ricorso agli straordinari invece di assumere nuovi lavoratori, a danno dei giovani e delle donne.

Il ritorno del conflitto di classe

La classe dirigente ha temuto, giustamente, che con la macanza di una rappresentanza politica della sinistra in Parlamento, l’opposizione scoppiasse in piazza. Questa vuole scongiurare uno scontro con la classe lavoratrice come è accaduto nel 2001-06 quando 3 milioni di lavoratori sono scesi in piazza per difendere l'articolo 18.

Allora, la Cisl e l’Uil firmarono con Berlusconi ‘Il Patto per l’Italia’, ma la Cgil, capeggiata da Sergio Cofferati, l'ha respinto organizzando, sebbene inadeguatamente, l’opposizione all’assalto del governo. Questa volta, invece, i capitalisti sperano che tutti i dirigenti sindacali confederali fungano da pompieri per spegnere gli eventuali incendi industriali, puntando sulla costruzione di una moderata ed ‘aconflittuale’ confederazione ‘unitaria’, disposta a collaborare col governo e col padronato ed a frenare le lotte industriali.

Epifani e la maggioranza della direzione della Cgil erano stati pronti ad esaudire i desideri dei capitalisti, sostenendo dopo la vittoria di Berlusconi che la maggioranza ampia del governo renda impossibile la mobilitazione dei lavoratori in opposizione. L’accordo unitario sulla contrattazione nazionale, firmato dai tre principali sindacati confederali, ha dimostrato la loro volontà di sacrificare i diritti lavorativi sull'altare della concertazione.

Eppure, sarà impossibile trattenere indefinitamente gli scontri industriali. Il conflitto di classe non si sta esaurendo, come ha detto Marcegalia. Anzi, nonostante l'incapacità e la riluttanza dei dirigenti sindacali di guidare le lotte, nonché gli sforzi del padronato di indebolire e dividere la classe lavoratrice, la rabbia cumulativa dei lavoratori contro i salari bassi, la precarietà, i licenziamenti e il logoramento dei diritti lavorativi, troverà per forza uno sbocco.

La gravità della crisi economica e la ferocia degli attacchi di Berlusconi hanno già suscitato l'ira dei lavoratori, soprattutto nella scuola. Da un lato, la forte pressione della Confindustria sta spingendo Epifani verso l'unità concertativa, dall'altro lato, però, il malcontento dei lavoratori fa pressing nel senso opposto. Di fronte ad un disagio crescente, incluso scioperi spontanei e manifestazioni capillari, la direzione della Cgil è stata costretta, suo malgrado, a ventilare l’ipotesi di uno sciopero generale della scuola.

Uno sciopero generale

Anche nel settore privato abbiamo visto scoppiare le lotte per difendere il potere d’acquisito dei lavoratori e per resistere ad un massacro dei posti di lavoro come in Telecom e in Alitalia. Berlusconi e la Confindustria sperano che le vicende in Alitalia significhino un spartiacque per quello che riguarda i rapporti industriali, come è successo in Inghilterra alla scia della disfatta dello sciopero dei minatori. Ma Thatcher ha ‘vinto’ i minatori in un periodo economico e politico completamente diverso di quello di oggi. All'aggravarsi la crisi economica le lotte potrebbero aumentare, malgrado il ruolo pernicioso svolto dai leader dei sindacati confederali. Non è da escludere uno sciopero generale contro la politica di Berlusconi e Confindustria, con il pubblico impiego ‘all’avanguardia’.

Sicuramente la direzione confederale, inclusa la Cgil, farà di tutto per evitare una lotta generalizzata. Tuttavia, benché sia possibile che all'inizio le lotte siano frammentate e isolate, limitate ad una singola azienda o categoria, potrebbero anche allargarsi, coinvolgendo sempre più lavoratori in una lotta unitaria. Una vittoria in una sola categoria potrebbe completamente trasformare la situazione industriale, dando fiducia ad altri settori. Abbiamo visto con la lotta a Fincantieri contro la quotazione in Borsa come una vittoria sia possible, addirittura in una situazione abbastanza difficile. Adesso che Berlusconi torna all’attacco, vediamo la necessità dei lavoratori di continuare ad organizzarsi per difendersi contro la classe dirigente. È possible che un crollo assai grave dell’economia abbia l’effetto di stordire settori della classe lavoratrice. Di fronte ad una valanga di licenziamenti e chiusure di fabbriche, assieme a una direzione sindacale inadeguata, alcuni lavoratori potrebbero pensare che non c'è nulla da fare e che la lotta sia impossibile. Dall’altro canto, però, altri potrebbero decidere che non c'è nulla da perdere e che con le spalle al muro non c'è altro da fare che combattere.

La lotta sociale

Anche un movimento sociale potrebbe essere il parafulmine per una lotta generalizzata. La decisione di rilanciare il nucleare, per esempio, di cambiare le regole d’ingaggio delle truppe in Afghanistan o in Libano, un eventuale attacco contro i diritti delle donne, potrebbero tutti destare movimenti nei territori ed a livello nazionale. Le vicende ‘rifiuti’ a Napoli sono state emblematiche. Lì abbiamo visto contemporaneamente la volontà della gente comune di resistere nonché la risposta autoritaria e repressiva del governo.

La criminalizzazione della lotta e la militarizzazione delle città rappresentano un attacco grave contro i diritti democratici e minacciano di provocare una seconda Genova 2001. Oggi è Napoli che subisce la violenza delle forze dello Stato, domani potrebbe essere il movimento No Dal Molin, il movimento No Tav o i metalmeccanici sottoposti alla repressione ‘d’emergenza’. In tale situazione, una scintilla potrebbe accendere una resistenza esplosiva, con la potenzialità di superare le divisioni territoriali o categoriali e di generalizzare le lotte.

In questa situazione volatile, la rivendicazione dello sciopero generale diventa assai importante. Dovunque i dirigenti della Cgil cerchino di frenare le lotte, va organizzata un’opposizione in grado di fornire un’alternativa combattiva alla maggioranza concertativa e di mobilizzare i lavoratori dal basso. L'unità nella Cgil della Fiom, della Rete 28 Aprile e di Lavoro e Società contro l'accordo sul contratto nazionale rappresenta un passo in avanti in questo senso. Non sarà un percorso facile. Epifani ha già dimostrato con le sospensioni di attivisti a Milano che ricorrerà a provvedimenti disciplinari contro chi si oppone alla politica concertativa della direzione. Senza una campagna risoluta di opposizione all’apparato burocratico della Cgil, sarà possibile un'ulteriore frammentazione del movimento sindacale.

Una campagna unitaria, però, radicata nei luoghi di lavoro e vincolata alla democratizzazione del sindacato, potrebbe rafforzare ed allargare l'opposizione che già esiste. Il milione di lavoratori che ha votato ‘No’ nel referendum sul Protocollo sul Welfare testimonia la possibilità di organizzare una mobilitazione importante. Al stesso tempo sarà necessario allargare l'unità d'azione dal basso fra i sindacati confederali e i sindacati di base.

Un ritorno al fascismo?

La politica sociale di questo governo è una delle più razziste e xenofobe d'Europa. Ha creato un clima che legittima i pogrom anti-rom, gli assalti agli immigrati e la crescita dell'ideologia fascista. Il ‘post-fascista’Alemanno è stato eletto sindaco di Roma promettendo di cacciare via 20,000 immigrati dalla capitale. Le foto dei neo-fascisti che festeggiavano la sua vittoria con i saluti romani sono state trasmesse in tutto il mondo. In questo quadro la stampa, sopratutto quella straniera, ha ipotizzato un ritorno al passato ‘oscuro’ dell'Italia: una ripresa del fascismo del Ventennio.

Non c'è dubbio che nel seno del Pdl esistano ancora elementi come Alemanno che non hanno completamente affossato il loro passato fascista. Contemporaneamente, la vittoria della destra ha incoraggiato i neo-fascisti ad alzare la testa ed a sferrare attacchi violenti contro gli immigrati, gli attivisti di sinistra e gli omosessuali . Bisogna senz'altro contrastare questa violenza, organizzando l'autodifesa di tutti coloro che si trovano minacciati. Ma, bisogna anche essere chiari sulle prospettive del fascismo.

Benché Alleanza Nazionale sorgesse dal Msi, non è un partito fascista bensì un partito capitalista di destra che in modo populista addossa agli immigrati la colpa dei problemi sociali. Fini, come altri leader europei con radici fascisti, era consapevole del richiamo limitato del neo-fascismo. Perciò si era accinto a trasformare il partito in una forza politica capitalista ‘rispettabile’, allontanandosi dall’ideologia e dalla violenza ‘squadrista’.

Nonostante il clima razzista e la violenza fisica, i neo-fascisti rimangono piccoli gruppi al margine della società. Alle elezioni, Forza Nuova ha ottenuto solo lo 0.3%. Nel futuro, se non verrà costruito un partito anti-capitalista in grado di rispondere alle esigenze della gente comune, è possibile che il sostegno ai neo-fascisti aumenti, soprattutto fra i giovani disoccupati e delusi. In questo periodo, però, un governo fascista è escluso.

Lo scopo centrale del fascismo non era il razzismo bensì lo schiacciamento della classe operaia e della sua resistenza all'offensiva dei capitalisti in un periodo di catastrofe economica e sociale. Appoggiandosi sulla loro base di massa fra la classe media, i capitalisti raggiunsero il loro obiettivo, ma persero il controllo dei fascisti e dello Stato, a prezzo della terribile morte e distruzione della seconda guerra mondiale.

I capitalisti non hanno nessuna intenzione di ripetere questa esperienza. Il fascismo classico assunse il potere solo dopo una sfilza di disfatte schiaccianti della classe operaia. Oggi, i lavoratori sono stati indeboliti dagli attacchi neo-liberali e dalla mancanza di dirigenti sindacali combattenti, ma non hanno subito disfatte decisive come quella del 1920-21 e rimangono una forza sociale importante.

Nel futuro, in una situazione di profonda crisi economica e sociale, se gli interessi dei capitalisti saranno gravemente minacciate, loro preferiranno ricorrere a una dittatura militare come fece Pinochet in Cile nel 1973 piuttosto che rischiare di passare di nuovo ai fascisti il potere politico. Al stesso tempo, la classe capitalista sfrutterà i gruppi neo-fascisti per dividere la classe lavoratrice e fornire un pretesto per la repressione dello Stato. Per il momento, però, la classe dirigente cercherà di limitare la violenza fascista per paura che faccia scattare una ampia resistenza dei lavoratori, dei giovani e degli immigrati.

Il populismo di destra

La cosiddetta ‘deriva a destra’ rappresenta una bocciatura dei partiti del governo Prodi piuttosto che un voto positivo a favore di Berlusconi. I concensi che ha ottenuto il Pdl alle elezioni erano quasi uguali a quelli raggiunti da Forza Italia ed Alleanza nazionale nel 2006. Il partito che ha più strumentalizzato la delusione e la frustrazione nei confronti del governo precedente è stato la Lega Nord, che ha visto raddoppiare i sui voti.

Sicuramente una parte dei 3 milioni di voti della Lega proviene dal ‘nucleo duro’ nel Nord che tiene al federalismo. Ma la Lega non solo ha rafforzato la sua base nel Nord, ha addirittura esteso la sua portata alle zone storicamente ‘rosse’ come l’Emilia-Romagna, dove ha incassato il 7%. Questo appoggio è stato sopratutto un voto ‘soft’ di protesta, che comprende chi si sente tradito ed abbandonato dai partiti di sinistra. Sfruttando la paura della globalizzazione e l’insicurezza, la Lega ha anche ricevuto l’avallo di una parte degli operai che nel passato avrebbe votato Rifondazione Comunista

Rifondazione, infatti, ha giustificato la sua collaborazione al governo Prodi dichiarando che era necessaria per evitare una vittoria della destra. In realtà, era proprio la politica neo-liberale del governo precedente, sostenuta da Rifondazione, che ha portato a una disillusione profonda, aprendo la strada alla Lega. Nell’assenza di un’alternativa anti-capitalista, la politica razzista e populista della Lega, imputando agli immigrati la disoccupazione, l’insicurezza e i servizi inadeguati, sembra offrire soluzioni facili ai problemi che subiscono i lavoratori. È chiaro, però, che la Lega non è “un partito dei lavoratori” come ha dichiarato Bossi all'indomani delle elezioni. Il partito ha raccolto qualche voto degli operai delusi dalla sinistra, ma è anche sostenuto dai piccoli capitalisti e dalla classe media. È proprio questo sostegno ‘interclassista’ che rende instabile la sua base sociale. L’appoggio del partito è assai volatile. Nel 1996, per esempio, raggiunse il 10%, due punti di più di quest'anno, eppure nel 2001 il suo appoggio scese al 4%.

La Lega sarà incapace di conciliare i diversi interessi del suo ‘elettorato’. Il capitalismo è basato sullo sfruttamento della classe lavoratrice. È soprattutto in una situazione di crisi economica che il conflitto sul plusvalore fra i capitalisti e gli operai si inasprisce. Anche se la Lega utilizza un linguaggio che a volte sembra ‘anti-capitalista’ - scagliandosi contro la globalizzazione, parlando a favore del protezionismo e sostenendo che difenderà i posti di lavoro degli operai - non punta a superare il sistema capitalista, che è un sistema in crisi. Così, i lavoratori che hanno votato la Lega, sperando di vedere migliorata la propria situazione economica e sociale, verranno presto delusi.

Immigrazione e razzismo

Al aumentare la delusione e la rabbia della classe lavoratrice nei confronti del governo, si offrirà la possibilità di fare crescere una vera alternativa anti-capitalista. Tale alternativa dovrebbe spiegare chiaramente, però, che la disoccupazione, la precarietà e l'insicurezza provengono da un sistema fondato sullo sfruttamento e la caccia ai profitti. È lo stesso sistema che a livello mondiale causa la miseria, la guerra e i disastri ambientali, costringendo la gente ad abbandonare il proprio Paese ed a rischiare la vita in un viaggio spesso pericoloso all'estero.

Criminalizzare l’immigrazione non significa fermarla. Finché il sistema capitalista durerà, le crisi economiche e sociali spingeranno la gente disperata a fuggire ed a cercare di migliorare la propria vita. I problemi dei lavoratori, che siano in Italia o altrove, si risolveranno solo se l'anarchico sistema capitalista venga sostituito da un sistema socialista basato sulla cooperazione e la pianificazione democratica dell'economia e della società.

L’ideologia razzista serve a dividere i lavoratori, a indebolirli ed a scalzare la loro capacità di lottare contro il vero nemico: il capitalismo. Serve anche a distogliere l’attenzione dagli attacchi economici del governo e del padronato. Al peggiorare la situazione economica, al crescere la disoccupazione, si aggraverà anche il razzismo. Perché questo sia combattuto, non basta parlare in modo astratto dei ‘diritti degli immigrati’. Bisogna mettere in avanti un programma di classe che prenda in considerazione le paure, le insicurezze e i problemi concreti dell’intera classe lavoratrice: che unisca i lavoratori nei posti di lavoro per lottare in difesa dei salari e dei diritti, nonché nei quartieri per chiedere risorse aggiuntive per la sanità, la scuola, l'alloggio e gli altri servizi necessari.

La tematica dell'immigrazione ha già creato tensioni e divisioni in seno al governo. Ai capitalisti servono i clandestini per abbassare i salari e impinguare i loro profitti. Allo stesso modo, un esercito crescente di badanti stranieri si sta facendo carico della cura degli anziani nelle famiglie private, togliendo allo Stato la responsabilità e la spesa.

D'altra parte, comunque, avendo strumentalizzato l'immigrazione per ottenere una base sociale, il Pdl, e soprattutto la Lega, si trovano costretti a prendere misure severe contro gli immigrati. Questa contraddizione ha già provocato liti all’interno della coalizione governativa. In realtà, una gran parte della politica contro la clandestinità e la ‘criminalità’ rimarrà sulla carta, che sia a causa del costo elevato di portarla a termine o sia che si scontri con gli interessi della classe capitalista. Tuttavia, il discorso anti-immigrati continuerà, alimentando un clima di intolleranza che minaccia non solo gli immigrati ma tutta la classe lavoratrice.

Crisi e dissensi

Ormai si sono profilati altri disaccordi che potrebbero anche frantumare la coalizione governativa che è più fragile di quanto possa sembrare. Come realizzare, per esempio, il federalismo fiscale - una questione di massima importanza per la Lega - senza danneggiare un Mezzogiorno già impoverito e che rappresenta un serbatoio importante di consensi per il Pdl?

Le divisioni potrebbero sicuramente scoppiare su come gestire l'economia in una situazione di crisi. Vista la debolezza dell'economia italiana, qualche esperto economico ha ipotizzato che sullo sfondo di una profonda crisi economica mondiale l'Italia potrebbe diventare ‘l’Argentina d’Europa’. Ci si riferisce alla crisi che scoppiò in Argentina nel 2001, provocando la svalutazione della moneta e un movimento quasi rivoluzionario che spazzò via cinque presidenti in poche settimane. Se l'Italia attraverserà una crisi similare, non è esclusa neppure l'uscita dall'euro, una vicenda che avrebbe enormi risvolti economici negativi per i capitalisti italiani.

A prescindere da questo scenario drastico, non c'è dubbio che l'Ue possa facilmente diventare uno capro espiatorio per i problemi economici del Paese e una tematica divisiva. Quando l'Irlanda ha bocciato il trattato di Lisbona, per esempio, la Lega ha festeggiato, scontrandosi con Berlusconi che cercava di rappresentare gli interessi pro-europei dei grandi capitalisti. In una situazione di crisi economica è probabile che, fomentati dalla Lega, i sentimenti anti-europei aumentino.

Al momento, Berlusconi sta proseguendo una politica neo-liberale di privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica voluta dalla Confindustria. All’intensificarsi della crisi economica, però, e soprattutto sotto la pressione di un movimento di massa, il governo potrebbe ricorrere a una politica più populista, nazionalista e dirigista. Abbiamo già visto che la crisi finanziaria attuale abbia condotto alla nazionalizzazione di tante banche e istituzioni negli Stati Uniti ed altrove.

Nel suo libro ‘La Paura e la Speranza’, il ministro dell’economia, Giuliano Tremonti, critica le conseguenze negative della globalizzazione, mettendo in avanti lo slogan “il mercato se possible, il governo se necessario”. Benché Alitalia non sia stata nazionalizzata, il ‘salvataggio’ potrebbe costare allo Stato almeno 2 miliardi di euro. Malgrado la sua politica attuale che punta ad estendere le privatizzazioni, è possibile che il governo Berlusconi faccia dietrofront portando in mani pubbliche imprese o isituzioni finanziarie in crisi. In specie la Lega, in modo populista, farà pressing per una politica più protezionista, cioè l’intervento limitato dello Stato per proteggere i mercati, i posti di lavoro, e le imprese in difficoltà.

Comunque, la debolezza dell'economia italiana, soprattutto il debito pubblico che è il secondo più grande al mondo, limiterà la politica del governo. Né una politica neo-liberista, né protezionista/neo-keynsianista risolveranno i problemi profondi dell'economia italiana né quella mondiale. La crisi attuale è una crisi strutturale che necessita una soluzione anti-capitalista.

Un’opposizione ombra

In parlamento, un’opposizione politica al programma del governo Berlusconi quasi non esiste. La revista britannica, The Economist, ha ettichetato il Pd ‘un’opposizione fantasma’. Non è sorprendente che Veltroni si sia limitato ad opporsi alle tematiche giudiziali che riguardano Berlusconi stesso. Il programma economico e sociale del Pd è quasi un'immagine speculare di quello del Pdl. Berlusconi sta solamente seguendo una strada già spianata dal governo Prodi, che sia la politica economica neo-liberista, il razzismo e autoritarismo della ‘sicurezza’ o la politica esterna pro-imperialismo statunitense.

La classe dirigente auspicava che la nascita del Pd e la riforma elettorale sfocciassero in un sistema politico ‘bipolare’ alla americana con due partiti capitalisti stabili, entrambi in grado di alternarsi al potere e di portare avanti un programma anti-lavoratori. Infatti, le elezioni sono finite nel ‘bipolarismo’ anche senza una riforma elettorale. La sinistra è stata schiacciata sul versante elettorale e Veltroni ha ‘ombreggiato’ fedelmente il governo Berlusconi. Benché la maggioranza netta di Berlusconi non renda necessario un governo di ‘grande intesa’, in realtà è quello che abbiamo avuto.

Dopo la sua disfatta alle urne, però, il Pd sta attraversando una vera crisi interna che potrebbe anche finire in una eventuale scissione. Il progetto veltroniano di allontanarsi dal governo Prodi, di affossare la ‘sinistra radicale’ e di così prendere voti al centro destra è completamente fallito. Il partito non è riuscito a colmare la lacuna con il Pdl, anzi lo scarto del 9% è stato molto più grande del previsto. Era solo grazie ai consensi degli ex-votanti della Sinistra arcobaleno, i quali si sono turati il naso con il cosiddetto ‘voto utile’, che il Pd ha superato la soglia del 12 milioni di voti (il numero che l'Unione ha ottenuto nel 2006).

La sconfitta schiacciante in Sicilia ha rafforzato il disagio che già esisteva in seno al partito. Il Pd è diviso fra cattolici e laici, fra chi vuole dialogare con Berlusconi e chi vuole una opposizione più critica, fra i sostenitori dell'autosufficienza politica e coloro che propongono una riapertura alla sinistra o una alleanza con l’Udc ed altri - per non parlare delle ambizioni personali e degli interessi economici.

L'idea di allearsi con una futura ‘costituente di sinistra’ proviene in parte dal calcolo elettorale: il 25% di coloro che hanno votato il Pd si classificano ‘decisamente a sinistra’ e una parte della direzione del partito crede che sia necessario mantenere ed anche estendere quest’approdo. Un’eventuale vittoria dell'ala ‘ pro-sinistra’non significherebbe, comunque, un cambiamento fondamentale del carattere del Pd: il partito rimarrebbe un partito capitalista al servizio dei grandi capitalisti.

Non è chiaro quale sarà il prossimo percorso del Pd. Di fronte ai sondaggi, che hanno registrato un crescente scarto fra il Pd e il Pdl, il partito sta zigzagando disperatamente. Malgrado la sua posizione politica debole in questo momento, non è escluso che il Pd si riprenderà, sfruttando una futura crisi del governo Berlusconi e la mancanza di una sinistra anti-capitalista di base di massa.

La sfiducia politica

Per la prima volta dalla caduta di Mussolini i comunisti non hanno rappresentanti in Parlamento. La sconfitta della Sinistra arcobaleno alle elezioni è stata schiacciante, con la perdita di quasi 3 milioni di voti. Il 3% che questo soggetto politico ha ottenuto era addirittura meno del 5.8% che solo il Prc ha raggiunto nel 2006.

Il Prc ha pagato a caro prezzo la sua partecipazione al governo Prodi, non solo sul versante elettorale ma anche in seno al partito stesso. Secondo Bertinotti e l'ex maggioranza del Prc, bisognava entrare nel governo per meglio ‘condizionare’ la sua politica. Era una tattica completamente sbagliata. Dal primo giorno, è stato la Confindustria a condizionare il percorso del governo, spingendolo a tagliare i servizi pubblici ed a premiare il padronato a scapito della classe lavoratrice.

Visto il carattere capitalista del Pd, tale esito era scontato. La storia dimostra palesemente che un partito che pretenda di rappresentare gli interessi dei lavoratori e che vada in coalizione con partiti capitalisti diventi inevitabilmente prigioniero di questi, macchiato agli occhi di chi l’ha votato. Invece di imparare le lezioni del passato, la maggioranza di Rifondazione ha sciupato la sua già compromessa reputazione come partito di lotta e ha persino minacciato l’esistenza del Prc.

Solo il 14% degli italiani si fida dei partiti politici - una cifra bassissima destinata a diminuire a causa dell’esperienza negativa della partecipazione di Rifondazione al governo precedente. Nel vuoto politico potrebbe crescere il populismo, come abbiamo già visto a destra con la Lega, e anche col fenomeno del ‘grillismo’ o di Di Pietro. Altri, in specie i giovani, potrebbero ricorrere in disperazione alla violenza ed al terrorismo.

Visto la mancanza di una vera alternativa politica anti-capitalista di massa, il sentimento ‘anti–partitico’ è del tutto comprensibile. Ma questo ha addirittura infettato una parte della sinistra anti-capitalista stessa. L’associazione Sinistra critica, per esempio, ha bocciato l'idea di costruire un partito rivoluzionario, a favore di una vaga ‘costituente anti-capitalista’. Fra i sindacalisti c'è anche chi ritiene che la classe operaia non abbia bisogno di partiti politici e dovrebbe solo dipendere dalla propria forza.

La classe operaia

Altri, invece, che si dicono a sinistra – e non solo Bertinotti e l'ex maggioranza del Prc - dichiarano che in conseguenza degli importanti cambiamenti economici e sociali realizzati negli ultimi anni - soprattutto la globalizzazione e il neo-liberismo - la classe operaia si trovi indebolita, frantumata e trasformata a tal punto che non è più in grado di svolgere un ruolo centrale nel trasformare la società. Secondo loro, la classe lavoratrice è diventata solo una forza fra altre forze e il comunismo, nelle parole di Bertinotti, è stato ridotto a una ‘tendenza culturale’.

Eppure, nonostante tutti i cambiamenti degli ultimi decenni, che hanno sicuramente avuto un effetto importante sulla struttura e sulla coscienza della classe lavoratrice, per quello che riguarda la necessità di un partito rivoluzionario e la centralità della classe operaia nella lotta contro il capitalismo, il marxismo mantiene ancora la sua validità politica.

Il capitalismo, fondato sullo sfruttamento, la concorrenza e la capitalizzazione dei profitti al vantaggio di un’elite minoritaria, è un sistema economico e sociale strutturalmente fallimentare, incapace di soddisfare le esigenze della maggioranza della società. Tuttavia, le contraddizioni interne del capitalismo non basteranno a comportare il suo collasso decisivo - il sistema cercherà sempre di mantenersi vivo a scapito della classe lavoratrice e dei poveri.

I capitalisti non rinunceranno facilmente al controllo economico, sociale e politico che possiedono. Anzi, di fronte ad un movimento che sfidi il loro predominio, sfrutterebero tutti i mezzi disponibili, incluse le forze dello Stato, per mantenerlo, come hanno sempre fatto nel passato. Perciò, la mera spontaneità non è sufficiente: un movimento di massa anti-capitalista deve essere organizzato politicamente, consapevole di come farla finita con il capitalismo e come realizzare una trasformazione radicale della società.

Il crollo del muro di Berlino, la globalizzazione, ed i feroci attacchi neo-liberali contro la classe lavoratrice non hanno cambiato le fondamenta del capitalismo; il plusvalore, da dove i capitalisti traggono i loro profitti, proviene dal lavoro non retribuito della classe operaia. Di conseguenza, una battaglia si svolge ogni giorno fra chi possiede i mezzi di produzione – la classe capitalista - ed i produttori – la classe operaia – per impossessarsi del plusvalore. Questa contraddizione centrale del capitalismo si rivela chiaramente nelle lotte nei posti di lavoro contro i salari bassi, i turni massacranti, i licenziamenti e gli attacchi ai diritti lavorativi. I lavoratori, benché siano per il momento numericamente ridotti, sfiduciati ed incoscientii del proprio potere economico e sociale, condividono un interesse collettivo nel rovesciare il sistema che li sfrutta e, grazie alla propria posizione nel processo di produzione, possiedono la forza per portare a termine questo scopo.

Un programma anti-capitalista

Una minoranza, per quanto risoluta che sia, sarebbe incapace di dare luce ad un’autentica alternativa democratica e socialista al capitalismo. Il socialismo significa che la maggioranza del popolo controlla democraticamente ogni aspetto della propria vita e partecipa attivamente alla gestione della società. Allo stesso modo, per farla finita con il capitalismo è necessario la partecipazione attiva e il sostegno della massa dei lavoratori. Sarà attraverso le lotte che questi diventeranno coscienti della propria forza come classe determinante nella battaglia contro il capitalismo.

Un partito anti-capitalista di massa potrebbe aiutare, mobilizzando e coordinando le lotte per difendere i posti di lavoro, i salari e tutte le conquiste della classe lavoratrice, rafforzando così la fiducia dei lavoratori nel proprio potere collettivo. Ma non solo. Bisogna anche che tale partito sia dotato di un programma politico che rappresenti i veri interessi della classe lavoratrice e che sia in grado di lottare per questo programma, vincolando, in modo abile, le lotte quotidiane alla necessità di trasformare l’intero sistema.

Per affrontare il caro vita, per esempio, un programma anti-capitalista richiederebbe un reddito minimo, fissato per legge, al di sotto del quale nessuno dovrebbe andare, nonché un aumento annuale dei salari, collegato al reale aumento del costo della vita. Per contrastare la disoccupazione, questo programma dovrebbe prevedere un orario di lavoro di 35 ore settimanali a parità di salario. Quando un’impresa minaccia di licenziare o di chiudere, i libri contabili dovrebbero essere aperti alle ispezioni dei rappresantanti dei lavoratori. Se i capitalisti sono pronti a ricorrere alla nazionalizzazione e ad affossare l’ideologia del libero mercato per salvaguardare gli interessi delle grandi banche e delle istituzioni finanziarie, perché non riportare in mani pubbliche tutte le imprese ‘fallite’ come Alitalia sotto il controllo democratico dei lavoratori? È perché limitarsi alle imprese fallite? Con la nazionalizzazione delle grandi imprese e banche che dominano l'economia sarebbe possibile pianificare democraticamente l' intera economia e soddisfare tutti i bisogni della maggioranza della società.

Il declino del Prc

Non esiste, purtroppo, un partito anti-capitalista di massa in grado di svolgere questo ruolo chiave – esso va costruito. Il fallimento di Rifondazione Comunista a questo riguardo pesa sulla classe lavoratrice. Quando nacque il partito 17 anni fa era diventato rapidamente un punto di riferimento per le fasce più combattenti. 150.000 lavoratori e giovani si sono iscritti al Prc, fra loro molti fuori del Pci. Il Prc si presentava come un partito anti-stalinista di lotta che rifiutava la rinuncia del comunismo da parte del Pci. Questa posizione risoluta ha anche avuto un'importanza internazionale. In tutto l'Europa dell'ovest, i vecchi partiti dei lavoratori abbandonavano il socialismo e il comunismo a favore del mercato capitalista. Il Prc, invece, sembrava diverso - un partito con una base importante fra i lavoratori, pronto a difendere il comunismo quando, alla scia della caduta dello stalinismo nell'Unione Sovietica, questo era diventato il bersaglio di un feroce attacco ideologico.

Sulla carta Rifondazione promuoveva il rovesciamento del capitalismo. Comunque, nonostante le ampie lotte contro Berlusconi nel 1994 e nel 2001- 2003 la maggioranza dei dirigenti del partito era incapace di vincolare il programma alla realtà dei movimenti. Così il Prc ha sprecato l'opportunità di costruire un partito anti-capitalista di massa in grado di guidare la classe lavoratrice verso una trasformazione radicale della società. La decisione di entrare nel governo Prodi è stata presa dopo un lungo processo di degenerazione ideologica nel quale la maggioranza della leadership del partito ha perso fiducia nella capacità della classe lavoratrice di lottare contro il capitalismo lasciando prevalere invece il ‘governismo’.

A causa dello sgretolamento e del declino del Prc, la classe lavoratrice in Italia si trova priva di un partito politico di lotta che rappresenti veramente i propri interessi. Allo stesso tempo, le ricadute hanno riecheggiato ben al di là dei confini dell'Italia. I nuovi soggetti politici di sinistra come die Linke in Germania e Syrizia in Grecia si trovano anche loro sotto pressione di allearsi con partiti capitalisti. Gli attivisti di base di questi partiti dovrebbero trarre le conseguenze dall'esperienza negativa di Rifondazione comunista e rifiutare di compromettersi, altrimenti rischieranno la stessa sorte del Prc.

La battaglia continua

Rifondazione ha raggiunto il capolinea o potrebbe ricuperare per svolgere un ruolo nella costruzione di un partito anti-capitalista di massa? La disfatta di Nicchi Vendola e l’ala ‘bertinottiana’ all'ultimo congresso, un esito completamente inatteso, ha arginato l'obiettivo di questi di ‘superare’ il comunismo e di sciogliere Rifondazione in una ‘costituente di sinistra’che diventerebbe un alleato affidabile in un futuro governo del Pd.

Dopo una dura battaglia per salvaguardare il Prc, nel corso del quale la base è stata rinvigorita e radicalizzata, il partito è sopravvissuto, ma rimane ancora in terapia intensiva. Ricordiamo che il nuovo segretario nazionale, Paolo Ferrero, è stato l'unico ministro del Prc nel governo Prodi. Lui è critico rispetto a questa esperienza ma mantiene un atteggiamento ambiguo per quello che riguarda le alleanze col Pd a livello locale e, nel futuro, a livello nazionale.

È possibile che l’ex maggioranza intorno a Vendola esca del partito per formare l’Arcobaleno II con Sinistra Democratica. È anche possibile che questo si spacchi e che una parte vada via e l'altra rimanga dentro Rifondazione Comunista. L’area Essere Comunista di Grassi, che ha sostenuto il documento di Ferrero al congresso, sta lavorando per raggiungere un accordo con i ‘Vendolaniani’. Finché essi rimarranno nel partito, cercheranno sicuramente di frustrare la ‘svolta a sinistra’ votata al congresso.

Tuttavia, la battaglia in seno a Rifondazione comunista non è ancora esaurita. La lotta congressuale ha testimoniato che ci sono tuttora migliaia di attivisti che sono pronti a combattere per costruire un autentico partito comunista. Spetta a loro adesso di lavorare per portare a compimento una vera svolta a sinistra, cioè mantenere l’indipendenza politica nei confronti del Pd, incluso lottare per l’uscita dalle coalizioni che attuano politiche di tagli ai servizi, privatizzazioni ecc. a livello locale; orientarsi verso le lotte sociali, radicarsi nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei movimenti e cercare di riallacciare i legami rotti coi lavoratori, i giovani e le fasce più combattenti; lavorare insieme con le altre forze anti-capitaliste nelle lotte sociali ed alle elezioni come passo in avanti verso la costruzione di un partito anti-capitalista con base di massa.

Un partito anti-capitalista

Nonostante la volontà degli attivisti di sinistra, è del tutto possibile che il Prc non riesca a rilanciarsi come punto di riferimento per i lavoratori e i giovani. Ma l'unità di lotta fra gli attivisti di base e le forze anti-capitaliste fuori del partito aiuterà senz'altro la futura costruzione di un vero partito anti-capitalista dei lavoratori e dei movimenti.

L'unità delle forze anti-capitaliste esistenti, però, significherebbe solo un primo passo verso tale partito. Bisogna anche inserirsi nelle lotte sociali e coinvolgere le nuove forze - i giovani, i precari, le donne e gli immigrati - che si muoveranno per contrastare gli attacchi che provengono dal governo Berlusconi e dalla Confindustria.

La crisi in atto fornirà l'opportunità di costruire un partito anti-capitalista con un ampio e profondo insediamento sociale. Ma non è del tutto scontato. Va respinto l'atteggiamento settario di alcuni partitini comunisti che si dichiarano “l’unico partito rivoluzionario” e insistono che tutti gli anti-capitalisti adottino il loro programma. Tali gruppetti non riusciranno mai a costruire un partito rivoluzionario con una base di massa. Un partito anti-capitalista dovrebbe essere consapevole che ci saranno idee diverse su come portare a compimento una trasformazione rivoluzionaria della società. Queste idee verranno chiarite tramite discussioni e dibattiti democratici e l'esperienza della lotta stessa. È per questo motivo che il Cil/Cwi sta lottando per la costruzione di un partito democratico ed aperto, dove i diversi gruppi e correnti anti-capitalisti e comunisti hanno il diritto di organizzarsi, e di mettere in avanti e discutere le proprie idee.

Quasi vent'anni fa i capitalisti festeggiavano la ‘morte’ del comunismo; avevamo raggiunti, ci hanno detto, “ la fine della storia” e il capitalismo era ‘vinto’. Oggi questo sistema ‘vittorioso’ sta attraversando la più profonda crisi da decenni. La storia, infatti, continua e ci dimostra che il capitalismo è fallito e va spazzato via. Solo il marxismo ci presenta una via di uscita dalla povertà, l'ingiustizia, la guerra, l'inquinamento e l'incubo di questo sistema. Perciò il comunismo tornerà dall'oltretomba; non il comunismo burocratico ed elitario come esisteva nell’Unione Sovietica, ma un comunismo democratico ed egualitario che risponda alle esigenze della maggioranza della società. È per questo che noi lottiamo.

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